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Intervistare Maurizio Rebuzzini per ARTcure mi riempie di gioia, quella gioia intellettuale che solo pochi personaggi riescono a darmi… Ho conosciuto Maurizio perché spesso ci siamo trovati nello stesso posto nello stesso momento poiché collaboravamo per la stessa azienda… Avrei potuto semplicemente salutarlo, come ho fatto con molti altri, ma lui mi ha affascinato da subito e la mia prima impressione è stata ripagata con la conferma di aver conosciuto una persona speciale…
Artcure:
Buongiorno Maurizio è davvero un onore per me intervistarti e ti ringrazio davvero di concedermi un po’ del tuo tempo per rispondere alle domande di quest’intervista. Tu sei uno dei pochi veri personaggi della Fotografia Italiana. Sei docente, curatore, editore e a contatto quotidiano con i più grandi fotografi italiani e non. Come hai iniziato? Quando hai capito che la fotografia era la tua strada?
Maurizio Rebuzzini:
Tutto è nato per caso, come sempre… nella vita. Non è necessario entrare in alcun dettaglio, ma basta annotare che per una serie di circostanze concomitanti, nell’autunno 1972, fui messo a contatto con il direttore di una rivista fotografica, Massimo Casolaro, di Clic, che stava preparando una guida mercato, per la quale richiedeva compilazioni mercantili. Da lì, passai in redazione. Quindi, nell’autunno successivo, mi trasferii nella redazione di Photo 13, allora diretta da Ando Gilardi e Roberta Clerici. Diciamo che poi sono stato caparbio nel rimanere nel settore e nell’impegnarmi ad affrontare la fotografia nel proprio insieme e complesso: studiando, osservando, riflettendo e via di questo passo.
Artcure:
Sei un grande conoscitore della storia della fotografia, hai grande dimestichezza con la parola e le volte che ti ho sentito raccontare di fotografi e fotografia ne sono rimasto affascinato. C’è qualche nume tutelare della fotografia di cui ti piace parlare più che degli altri? Hai un maestro, che per qualsiasi motivo, ti piace più degli altri?
Maurizio Rebuzzini:
Maestri ne abbiamo sempre tanti: sia in frequentazione diretta, sia attraverso letture e altro. No,uno in particolare non lo posso isolare, perché ogni nostra maturazione si edifica su mille e mille contributi ricevuti. In quanto all’aneddotica, sì in otre quaranta anni di fotografia ho vissuto tanti e tanti momenti che possono essere raccontati quando e per quanto la situazione arriva a richiederlo.
Artcure:
Di solito intervisto fotografi abituati ad esporre in mostre o importanti gallerie. Spesso le loro fotografie sono in vendita e una delle domande che mi piace fare è quella di cosa pensano del mercato della fotografia in Italia. Essendo tu un importante curatore, vicino alle più grandi istituzioni fotografiche italiane con cui spesso collabori, come vedi il futuro del mercato della fotografia d’autore? Credi che gli Italiani sono pronti a questo tipo di collezionismo?
Maurizio Rebuzzini:
Discorso difficile e complesso, per il quale si dovrebbero esprimere innumerevoli distinguo. Direi che, rispetto esperienze estere particolarmente lusinghiere (Stati Uniti,sopra tutto, e poi altre geografie in consecuzione), il divario del nostro mercato è ancora enorme. Negli ultimi tempi, qualcosa si sta muovendo, ma non è facile introdurre e affermare il princìpio di investimento d’arte nella fotografia. Ci sono troppi preconcetti, e in sovramercato l’Italia è alla provincia del pianeta, in ogni ambito culturale, in ogni manifestazione d’arte. Comunque, salvo casi isolati, ininfluenti sul totale, non sono ottimista riguardo il collezionismo fotografico nel nostro paese.
Artcure:
Bene caro Maurizio siamo alla fine di questa informale intervista. So che sei sempre super impegnato in molti progetti… Ma sai già cosa farà Maurizio Rebuzzini da grande?
Maurizio Rebuzzini:
Come sempre… continuo a vivere giorno per giorno, senza pormi troppe mete, senza immaginare nulla di particolare. Mi basta quanto sto facendo, senza mai rinunciare a princìpi sovrastanti inviolabili: etica, morale, garbo, eleganza, comprensione (soprattutto del diverso), gratitudine e riconoscenza. Non è poco. Anzi, è addirittura vero l’esatto contrario.